Reti sociali locali e spazi pubblici ibridi per la revitalizzazione urbana
Da ormai qualche anno leggo con frequenza il sito Eddyburg. Si tratta a mio giudizio di uno dei più interessanti siti in lingua italiana dedicato ai temi della gestione del territorio. Molte settimane fa prima della polemica del piano casa e poi del tragico evento del terremoto, si era acceso su questo sito un interessante dibattito riguardo al futuro degli spazi pubblici urbani. Rimasi colpito dalla linea generale di molti interventi, a mio giudizio poco “innovatori”.
Mi é sembrato quindo opportuno scrivere al direttore per illustrare il mio personale punto di vista. Di seguito vi lascio il testo integrale della mia “carta al direttore”.
Caro direttore,
vorrei sottoporre alla sua attenzione e a quella di tutti i lettori di Eddyburg una riflessione sugli ultimi interventi sul tema della perdita di vitalità degli spazi pubblici.
Comincio dalla fine. Non posso essere d’accordo con chi afferma che lo svuotamento degli spazi pubblici debba attribuirsi a fenomeni quali lo sgretolamento della rete dei piccoli commerci di quartiere ed alla conseguente migrazione verso i centri commerciali della periferia o al fenomeno di privatizzazione e mercificazione degli stessi. Lei stesso nel suo ultimo editoriale fa riferimento a questo tipo di fenomeni.
Sono convinto che esistono spiegazioni molto più interessanti, che individuano il problema nel carattere stesso di questi spazi, i quali già da molti anni hanno smesso di essere funzionali e di apportare valore aggiunto ai cittadini e alla cittadinanza; e nello straordinario processo di trasformazione che sta caratterizzando il nostro attuale stile di vita, caratterizzato da una forma di socialità basata su modelli e spazi di interazione completamente diversi da quelli conosciuti fino ad oggi.
E’ certo che viviamo secondo un modello di cittadinanza in cui gli interessi economici sono liberi di promuovere qualsiasi tipo di trasformazione, con il potere politico immobilizzato dalla totale mancanza di visione di futuro o di una proposta sociale realmente contemporanea. Tuttavia, non sono affatto convinto che la privatizzazione sia la causa di questa trasformazione. Sono più propenso a considerare tale fenomeno come la “soluzione” più facile e più immediata che la società abbia saputo produrre. I privati, contrariamente ai gestori pubblici, sono capaci di promuovere velocemente nuove attività, riuscendo ad interpretare e a gestire in modo molto più “efficace” la realtà post-moderna legata alla società dello spettacolo.
Molto probabilmente, non é la mancanza di risorse economiche il motivo per cui gli enti pubblici locali si affidano ai privati per rivitalizzare gli spazi pubblici urbani. Si tratta piuttosto di una soluzione scaturita da una totale mancanza di lungimiranza politica, una facile scappatoia di fronte a un problema che non si sa come affrontare.
Dinanzi a un processo così travolgente e così sregolato, non posso pensare che si debba ancora credere al ritorno ad un modello del passato. Non posso credere che si parli ancora del negozietto di quartiere come la soluzione di tutti i mali.
Riflettiamo un attimo sui benefici offerti alla vitalità urbana dal piccolo commercio di quartiere. Il negoziante non é altro che il nucleo di una rete di contatti tra vicini. Questa rete definisce, o meglio contribuisce a definire l’identità ed il carattere del luogo in cui vivono i clienti: il quartiere. Grazie all’anello di congiunzione costituito dal negoziante, un certo numero di vicini si scambiano due parole. Comunicano. Percepiscono l’umore, i pensieri e le preoccupazioni di coloro che vivono alla porta accanto. Vedono e costruiscono un briciolo di comunità.
Troppo spesso lo si considera come l’elemento di vitalità urbana per eccellenza o forse l’ultimo che ancora ci é rimasto. Ma è davvero quello che vogliamo? Non possiamo pensare a niente di meglio? Non capisco perché di fronte a un problema o un cambiamento, l’unica soluzione che sappiamo proporre é un ritorno alla situazione anteriore al problema o anteriore al cambiamento. E se pensassimo a un nuovo modello di spazio pubblico?
Caro direttore, lei nel suo editoriale fa un doveroso appello affinché si torni a dare importanza alla disciplina urbanistica, ridare forza alla pianificazione urbana; parla di “governo delle trasformazioni”. Poi però si lascia andare ad una poco propositiva nostalgia per il passato.
Non capisco. Di che protagonismo dell’ urbanistica stiamo parlando? E soprattutto di che trasformazioni stiamo parlando?
Siamo a ridosso del 2010, viviamo nell’ era delle reti. Non possiamo continuare a parlare di spazi pubblici e di relazioni sociali senza fare i conti con ciò che sta avvenendo in internet. O forse vogliamo ancora credere che anche internet sia tra le cause dello svuotamento degli spazi pubblici?
Stiamo assistendo ad un progressivo svuotamento degli spazi pubblici. D’accordo. L’attuale modello di vita spinge la grande maggioranza dei cittadini ad utilizzarli unicamente come via di transito. Come conseguenza l’unica funzione (importante) che continuano a svolgere é garantire l’indispensabile libertà che costituisce l’essenza stessa della cittadinanza.
Tuttavia, prima di correre diritti a cercare soluzioni del passato, credo che sarebbe utile capire bene che cosa sta succedendo nelle nostre vite quotidiane. Capire se sentiamo veramente la necessità di “vivere” questi spazi.
Fino ad oggi abbiamo disegnato gli spazi pubblici pensando nelle attività che vi si svolgevano o nelle esigenze scenografiche degli elementi architettonici che li circondano. Oggi che la società sembra aver transladato la maggior parte delle sue tradizionali attività in altri luoghi (spesso privati), non possiamo più continuare a progettare seguendo questo schema. Dobbiamo fare uno sforzo in più. Guardare un po’ più avanti e ripensare a quale potrebbe e dovrebbe essere la funzione che deve svolgere lo spazio pubblico, e solo successivamente definirne le caratteristiche e le qualità: il disegno.
Generazione dopo generazione. Le nostre strade. Le nostre piazze. Subiscono mutazioni continue adattandosi alle attività che in esse svolgiamo. Le adattiamo alla produzione e scambio di merci, poi al transito delle carrozze, quindi delle macchine, poi ritorniamo sui nostri passi e privilegiamo il transito e l’ accesso pedonale.
Dobbiamo smettere di inseguire le trasformazioni. Adesso tocca a noi. Professionisti e cittadini, dobbiamo ritornare a essere i protagonisti. Tocca a noi immaginare e coordinare in modo collettivo le attività che vi si svolgeranno.
E’ giunto il momento di chiudere questa rincorsa alle attività e mettere l’accento sulla funzione che vogliamo che abbiano.
Se vogliamo che ritornino ad essere vivi e pieni di relazioni sociali, di attività politica nel senso di affermazione stessa della cittadinanza, allora probabilmente dobbiamo riflettere su come si manifestano oggi giorno tali funzioni e come pensiamo che si manifesteranno nel futuro.
Non credo si possa dubitare del fatto che le nuove tecnologie e soprattutto internet stanno già offrendo eccezionali opportunità per quanto riguarda questo ed altri tipi di relazioni. Molti opineranno che si tratta di un fenomeno che ha poco a che vedere con la città e con gli spazi “fisici”; io invece penso esattamente il contrario.
Il processo delle relazioni e il nostro stile di vita definisce senza alcun dubbio il carattere delle nostre città. Conseguentemente se l’importanza dello spazio pubblico sta nella creazione di relazioni e scambio di ogni tipo, quando passiamo alla progettazione o programmazione degli stessi, dobbiamo necessariamente introdurre un nuovo “materiale”; lo stesso di cui internet é pieno: le relazioni sociali, appunto. Un materiale intangibile con il quale non siamo abituati a progettare. In definitiva ci troviamo di fronte alla necessità di pensare a un nuovo modello di spazio pubblico, dove possano confluire, catalizzarsi e visualizzare le reti sociali locali, fisiche e “virtuali”.
Riassumendo. Di fronte ad un chiaro processo di impoverimento degli spazi pubblici, piuttosto che un “misero” ritorno al passato dobbiamo avere il coraggio e la capacità di guardare al futuro; cimentarci nel disegno di un nuovo tipo di spazio pubblico progettato pensando a come migliorare la sua funzione sociale senza limitarci ad adattarlo esclusivamente alle sue normali e “indispensabili” attività vitali.
Per agire in questa direzione sarà necessario rafforzare le dinamiche di formazione e sviluppo delle reti sociali locali. Offrire loro la possibilità di “crescere” in un nuovo tipo di spazio urbano. Uno spazio pubblico ibrido che utilizzi lo “spazio delle relazioni telematiche” come una opportunità per accrescere la comunicazione fra vicini di quartiere; permettere alle nuove dinamiche di “comunicazione continua” di rafforzare il sentimento di appartenenza ad una comunità locale; offrire le infrastrutture necessarie a far nascere nuove funzioni e nuovi caratteri gestite direttamente dai cittadini, basandosi su regole di funzionamento dettate più dal “bene comune” che dalle leggi del mercato.
Crediti immagine: Francesco Cingolani (https://www.immaginoteca.com/)
….uno spazio pubblico ibrido che esplori la natura informale, non istituzionale e democratica della vitalità urbana
Ciao Federica, belle definizione…. grazie per condividerla!