Mappa ragionata delle ideologie nella rete
Ho appenaa scoperto un itneressante blog argentino (blog2) e da lí un altro blog italiano (visionpost) molto interessante da cui é tratto l’intero articolo che pubblico di seguito:
Quelli che sognano il web dell’avvenire e quelli che vedono solo il colore dei soldi. Quelli che tutto va per il meglio nella migliore del reti e quelli che è una minaccia per i nostri valori. Una mappa racconta quindici anni di teorie su internet
Teorie, scontri, utopie e proiezioni sulla rete. Da quando è diventato “di massa” il medium del medium ha attirato lo sforzo interpretativo di centinaia di intellettuali e polemisti. Risultato: un variegato manipolo, ogni giorno crescente, di serissimi studiosi, giornalisti, intellttuali e brillanti cialtroni, ha dato vita in questi 15 anni a un groviglio di letture della più grande piattaforma di espressione e comunicazione mai esistita. Abbiamo provato – senza nessuna pretesa di esaustività e con una buona dose di ironia – a dare un ordine a questo manipolo di idee in movimento in una mappa pubblicata oggi su Chips&Salsa, inserto tecnologico del manifesto.
9 profili per altrettante “scuole di pensiero”, ideologie o solo atteggiamenti nei confronti dell’impatto sociale e culturale dell’internet. che si confrontano lungo 4 coordinate: dono e relazioni contro commercializzazione dei bit; ottimismo sulla storia digitale contro scetticismo della ragione. Oltre destra e sinistra, ma senza cancellarle. Semmai, per riscriverle.
FONDATIVI
Pionieri delle reti, per primi hanno scandagliato le terre connesse, meglio di tutti ne hanno definito le coordinate. Sono il nucleo centrale da cui le ideologie del web promanano e rispetto al quale si definiscono. I Fondativi hanno disegnato la geografia del mondo digitale, talvolta ancora prima della nascita dell’internet. Come il polo magnetico, senza di essi non si darebbe orientamento. Alcuni di loro hanno visto in anticipo la tecnologia come estensione dei sensi (McLuhan) e proiettato le proprie intuizioni in avanti di oltre quarant’anni. Altri hanno gettato le basi della teoria nei network, sviscerando i meccanismi che regolano la comunicazione degli individui interconnessi (Barabási). Definiscono nuovi paradigmi (l’informazionalismo di Castells) e colgono le potenzialità di internet, in quanto mezzo che abilita nuove forme di diffusione delle idee (Lessig). Alcuni, dopo averlo descritto, vogliono anche cambiarlo questo mondo. Chi con una costituzione (Rodotà), chi con lo spirito dei commons (Benkler).
Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare (1964)
Armand Mattelart, Storia della società dell’informazione (1995)
Lawrence Lessig, Il futuro delle idee (2001)
Albert-László Barabási, Link. La scienza delle reti (2002)
Manuel Castells, L’età dell’informazione: economia, società, cultura (2004)
Stefano Rodotà, Tecnopolitica. La democrazia e le nuove tecnologie della comunicazione (2004)
Yochai Benkler, La ricchezza della rete. La produzione sociale trasforma il mercato e aumenta le libertà (2007)
PANGLOSSIANI
Tutto va per il meglio nel migliore dei mondi possibili per i nuovi Pangloss dell’era digitale. Hanno capito prima degli altri la portata del passaggio dagli atomi ai bit (Negroponte) e da allora aspettano il “web dell’avvenire” preparando i comuni mortali al nuovo Avvento. «Il futuro appartiene a coloro che danno per scontato il presente» (Shirky). Il che vuol dire bando al pensiero critico, largo all’esaltazione delle nuove tecnologie e al sogno di un «Rinascimento 2.0» in cui «cambia il paradigma culturale» e si «ridefiniscono i confini tradizionali, positivistici, delle discipline e si esalta l’umanità» (De Biase). Tra tante illuminazioni l’abbaglio è sempre dietro l’angolo. Chiedere a Dan Gillmor, l’uomo che ha inventato il “citizen journalism” e più di ogni altro celebrato il giornalismo dal basso. Quando ha lasciato il posto da cronista per mettere in pratica le sue ottimistiche teorie con un sito di informazione partecipata ha scoperto amaramente che, sì, il «lettore ne sa più noi» (suo celebre slogan) ma non sempre ha voglia di condividere la sua conoscenza.
Nicholas Negroponte, Essere digitali (1996)
Giuseppre Granieri, Blog generation (2005)
Dan Gillmor, We the media. Grassroots Journalism By the People, For the People (2006)
Luca De Biase, Economia della felicità. Dalla blogosfera al valore del dono e oltre (2007)
David Weinberger, Everything Is Miscellaneous: The Power of the New Digital Disorder (2007)
Clay Shirky, Here Comes Everybody: The Power of Organizing Without Organizations (2008)
WEB-TRIBALI
Lo sguardo antropologico si posa sulla rete e ne osserva i rituali. Affascinati dal substrato virtuale e dal mondo mediato dai bit, i Web-Tribali contemplano l’acquario del web, individuando affinità e diversità rispetto al mondo materiale, composto di atomi e gerarchie. Oltre lo schermo, la rappresentazione e l’organizzazione delle comunità ricalca le tribù che si radunano intorno a un unico fuoco e a persone di carisma (Turkle). I Web-tribali narrano di una grande rivoluzione digitale che si sviluppa ogni giorno in modo trasversale e gratuito – dai blog ai videogiochi (Jenkins), dalla televisione ai social network (Boyd) – e costruisce un paradigma alternativo a quello fisico. Al centro, ovviamente, le relazioni interpersonali e il dono. Proprio l’estrema complessità dei nuovi sistemi convergenti e delle relazioni che si sviluppano in esso, obbliga l’uomo a compiere un balzo in avanti in un’ipotetica scala di intelligenza (Johnson). Una vera e propria strizzata d’occhio all’evoluzionismo, ma quello cognitivo.
Sherry Turkle, La vita sullo schermo. Nuove identità e relazioni sociali nell’epoca di Internet (1997)
Steven Johnson, Tutto quello che fa male ti fa bene. Perché la televisione, i videogiochi e il cinema ci rendono intelligenti (2006)
Danah Boyd, “Social Network Sites: Public, Private, or What?” (Knowledge Tree, 13 – 2007)
Henry Jenkins, Fan, blogger e videogamers. L’emergere delle culture partecipative nell’era digitale (2008)
LISERGICI
Dice Wikipedia: «L’acido lisergico è più noto per il fatto che può essere utilizzato per sintetizzare una potente droga allucinogena: la famosa LSD». Non perché questi autori scrivano sotto effetto di sostanze psichedeliche, ma perché rappresentano per l’internet ciò che gli sciamani sono in alcune comunità indigene. Si tratta solo di una scala differente. Guide mistiche e grandi oracoli, leggono il futuro della rete nelle foglie del web. Spesso non sono compresi, ma trovano sempre dei Panglossiani disposti a seguirli e dei Neo.Com pronti a tradirli. Per primi hanno scritto di “oggetti dialoganti” tra loro, di “internet delle cose” (Sterling) e di una “intelligenza collettiva” (Lévy) che si coagula in molteplici masse attive (Rheingold). Per loro la tecnologia è un organo sensoriale, un’estensione elettrica del corpo in grado di dar vita alle potenzialità inespresse dell’uomo nelle sue relazioni sempre più fluide e mutevoli. In una parola, uno stato allargato di coscienza.
Derrick De Kerckhove, Brainframes. Mente, tecnologia, mercato (1991)
Pierre Lévy, L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio (1994)
Bruce Sterling, Tomorrow now. Come vivremo nei prossimi cinquant’anni (2002)
Howard Rheingold, Smart Mobs.Tecnologie senza fili, la rivoluzione sociale prossima ventura (2003)
NEO.COM
La mano del mercato del terzo millennio è ancora più invisibile. Le sue dita sono fatte di link e pixel ma muovono merci e denaro sempre più velocemente. Epigoni digitali di Adam Smith, i Neo.Com sono stati ammaliati dai giochi di prestigio di questo arto virtuale. Come i cugini Neo-con vogliono esportare il libero mercato: quelli pensano all’Iraq, questi alle comunità di giocatori online. «I mondi virtuali sono più importanti per la civiltà di quanto lo sono state nel secolo scorso radio, tv e automobili» (Castronova). E non per i benefici sociali che portano ma perché lì dentro già scorrono «20 miliardi di dollari» di transazioni di bit. Un tesoro che fluttua senza «costrizioni dello spazio degli scaffali fisici e altri colli di bottiglia della distribuzione» (Anderson) conducendo al trionfo della libera scelta e della massima varietà. E’ una «grande trasformazione», una «tempesta perfetta» che le multinazionali coglieranno se sfrutteranno l’immensa manodopera a basso costo messa a disposizione dal web (Tapscott).
Don Tapscott, Wikinomics. La collaborazione di massa che sta cambiando il mondo (2005)
Edward Castronova, Universi sintetici. Come le comunità online stanno cambiando la società e l’economia (2005)
Chris Anderson, La coda lunga. Da un mercato di massa a una massa di mercati (2006)
Seth Godin, I piccoli saranno i primi. 184 sorprendenti idee di marketing (2006)
HACKER
Programmatori creativi e smanettoni idealisti sognano un futuro migliore. Senza copyright e brevetti che ostacolano la libera circolazione delle idee. Neo-maoisti digitali, vedono un mondo dominato dalla comunicazione mercificata e con l’informazione in catene ovunque, da scardinare a colpi di software open-source e licenze gratuite (Stallman). La loro “etica” si basa su due pilastri fondamentali: libertà di riutilizzo di tutte le risorse prodotte dalla comunità; cultura del dono come nuovo orizzonte economico (Himanen). Un misto di comunitarismo e cooperazione decentrata che ricalca le origini hippie di internet. E che, dicono i più ottimisti, porterà alla nascita di un nuova classe sociale (Wark). Con gli hacker a fare da avanguardia e, a seguire, una larga fetta di lavoratori della conoscenza. Mentre sullo sfondo, si delineano nuovi strumenti di disobbedienza civile e partecipazione politica (Meikle), in cui a farla da padrone è l’uso tattico dei new media: guerriglia, sabotaggio online e culture jamming.
Pekka Himanen, L’etica hacker e lo spirito dell’età dell’informazione (2001)
Richard Stallman, Software libero, pensiero libero (2002)
McKenzie Wark, Un manifesto hacker. Lavoratori immateriali di tutto il mondo unitevi (2004)
Graham Meikle, Disobbedienza civile elettronica (2004)
CYBERSOVIET
Miti e illusioni della rete visti da sinistra. Tra speranze comunitarie della prima ora (quando hacker e progetti di cittadinanza digitale promettevano di capovolgere dal basso gli equilibri di potere) e scetticismo sulle evoluzioni più recenti (governi e multinazionali alleati in nome del controllo e del profitto). Parafrasando il titolo di un libro di Geert Lovink, internet non è più quel paradiso che ci era stato promesso. E per chi ci ha creduto – come i Cybersoviet – il risveglio è duro. Non a caso, a qualcuno di loro la parabola ricorda l’esperienza dei soviet russi: pionieristici laboratori di democrazia diretta neutralizzati dalle autorità centrali perché «organi di contropotere politico» (Formenti). Lo stesso vale oggi per blog, social network e le altre mirabilia del web 2.0, incapaci di elaborare una piattaforma politica, diventati semplici strumenti di sfruttamento del lavoro volontario di milioni utenti (Scholz). Lo spirito di Marx in salsa digitale, tra pessimismo della ragione (tanto) e ottimismo della volontà (o quel che ne resta).
Franco Berardi, La fabbrica dell’infelicità: new economy e movimento del cognitariato (2001)
Geert Lovink, Internet non è il paradiso. Reti sociali e critica della cybercultura (2003)
Trebor Scholz, The art of free cooperation (2007)
Carlo Formenti, Cybersoviet. Utopie post-democratiche e nuovi media (2008)
TECNO-RETRO
Stanno in basso e, ovviamente, a destra. Sono reazionari, conservatori e un po’ luddisti. La rete delle meraviglie dei Panglossiani e dei Neo.Com per i Tecno-retro è solo fonte di corruzione morale e intellettuale. Nelle loro invettive pessimiste, il web diventa la notte in cui i «confini della verità sono erosi» (Siegel) e i blog un esercito che vuol «confondere l’opinione pubblica» (Keen). Parlano di tradizione occidentale e accusano i nuovi media di distruggere i «nostri valori» e attentare al «futuro stesso delle nostre istituzioni culturali». Scomodano persino Hannah Arendt in difesa dei signori dell’intrattenimento minacciati da internet (Olivennes) e denunciano «la moltiplicazione dei consumi (…) dietro false ideologie di progresso» (Landi). Secondo loro, l’ordine costituito è sotto l’attacco di barbari di bit che si riempiono la bocca di democrazia e gratuità ma sono manipolati da aziende miliardarie. E se per invertire il corso della storia è tardi, che importa: per ritagliarsi una nicchia editoriale come bastian contrari del web il momento è giusto.
Paolo Landi, Impigliati nella rete. Per una controinformazione sul web (2007)
Denis Olivennes, La gratuità è un furto. Quando la pirateria uccide la cultura (2007)
Andrew Keen, The cult of the amateur. How blogs, MySpace, YouTube, and the rest of today’s user-generated media are destroying our economy, our culture, and our values (2007)
Lee Siegel, Against the machine. Being Human in the Age of the Electronic Mob (2008)
POST-VIRTUALI
Contro l’illusione neo-rinascimentale dei Panglossiani più incalliti e le invettive reazionarie di stampo Tecno-retro, dalle università statunitensi arrivano anche voci pragmatiche che provano a stemperare sia l’entusiasmo acritico verso tutto ciò che è virtuale che il millenarismo fondamentalista. I Post-virtuali denunciano il dilagare del «totalitarismo tecnologico» e i rischi politici di un lento arretramento della “cultura” (Postman). Avanzano dubbi sulle conseguenze dell’informazione ultrapersonalizzata temendo «una società eterogenea» incapace «di affrontare i problemi sociali» (Sunstein). “Google ci rende stupidi?” si chiede in un recente articolo l’economista Nicholas Carr che nei suoi lavori coniuga sano scetticismo e provocazione intelligente. E di fronte al pericolo del cybercrimine c’è chi propone nuove forme di governance che vadano in direzione opposta al controllo governativo ma senza dimenticare che ogni soluzione deve coinvolgere anche l’anima hacker della rete (Zittrain).
Neil Postman, Technopoly. La resa della cultura alla tecnologia (1992)
Cass Sunstein, Republic.Com (2002)
Nicholas Carr, The big switch. Rewiring the World, from Edison to Google (2008)
Jonathan Zittrain, The future of the Internet (2008)