Le mie esperienze all’estero tra architettura, urbanistica e partecipazione pubblica
Qualche mese fa il mio amico e compagno di scuola Mario Costanzo mi contatta per farmi alcune domande che avrebbero poi fatto parte di una intervista pubblicata su “La Serra“, il giornale locale del mio paese Coreno Ausonio.
Ne è uscito fuori un buon articolo che mi sembra aiuti a capire meglio di cosa mi occupo.
Di seguito pubblico l’intervista integrale.
Prima di tutto ringrazio l’intera redazione de “La Serra” per l’importante lavoro che svolge anno dopo anno per la nostra comunità di Coreno Ausonio. Mi fa molto piacere collaborare con questo giornale rispondendo alle vostre domande.
Raccontaci la tua esperienza tra architettura, urbanistica e partecipazione pubblica
Il primo giorno che ho messo piede nella Facoltà di Architettura dell’Università “La Sapienza” di Roma, non avrei mai immaginato dove mi avrebbero portato gli studi che stavo per iniziare.
In realtà avevo una visione della professione dell’architetto molto differente da quella che ho adesso. Gli studi e le esperienze che ho potuto fare, grazie anche al sostegno dei genitori e della famiglia, mi hanno permesso di conoscere persone, progetti e nuove prospettive che mi hanno fatto crescere e maturare. Studiare in tre diverse università (Roma, Parigi e Madrid) con tre diversi modelli di studio e ricerca è stato per me un fantastico modo per vivere il periodo della formazione universitaria. Per me è stata una straordinaria opportunità per sentirmi veramente europeo e per comprendere l’essenza e la forza della condivisione europea.
Ho mosso i primi passi a Madrid, pochi mesi dopo la laurea, presso lo studio di architettura ed urbanistica “Ecosistema Urbano”, all’avanguardia in Spagna e conosciuto anche all’estero. Ho cominciato come collaboratore progettista per diventare in seguito uno dei soci responsabili.
Qui, per cinque anni, pur essendo abbastanza giovane, ho avuto l’opportunità di lavorare a progetti di livello internazionale e ho potuto approfondire la mia passione per le nuove tecnologie, per internet e per la partecipazione pubblica nella progettazione urbana. In quel periodo ho contribuito a lavori che, sotto l’aspetto della partecipazione diretta della cittadinanza e l’utilizzo intelligente delle nuove tecnologie per la gestione del territorio, si potevano definire “pionieri”.
Una delle principali innovazioni che ho introdotto nello studio è stata la predisposizione di un sito web dove abbiamo cominciato a condividere pubblicamente tutti i nostri lavori. All’inizio molti dei nostri colleghi ci consideravano insensati. Comunque, nel giro di pochi anni, tutti i maggiori studi spagnoli hanno attivato un sito web simile. Grazie al sito abbiamo sperimentato una nuova forma di comunicazione, vi abbiamo raccontato non solo i nostri progetti, ma il nostro modo di intendere l’architettura e la città. Questo ci ha permesso di diventare un riferimento per studenti e giovani architetti e urbanisti.
Grazie alla rinnovata visibilità internazionale dello studio, dovuta anche ai premi e ai pubblici riconoscimenti, ho avuto modo di viaggiare in Spagna ed in Europa per tenere conferenze e coordinare diversi laboratori. Sono stato invitato anche in Italia, ricordo in particolare un incontro tenuto a l’Aquila, a poche settimane dal terribile terremoto.
Dopo questa prima fase lavorativa, oggi lavoro in modo indipendente collaborando di volta in volta con altri professionisti, su progetti specifici. Ho deciso di lasciare lo studio tradizionale per sperimentare un modello più leggero e flessibile che mi ha consentito di ampliare il mio campo di intervento. Così ho potuto lavorare con diverse organizzazioni quali la Inter-American Development Bank, l’ONU-Habitat e il Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite (PNUD). Attualmente collaboro a diversi progetti con le amministrazioni comunali di Parigi, Valenzia, Madrid, L’Hospitalet (Barcelona) e Tlajomulto (Messico). Periodicamente tengo lezioni all’università EAFIT di Medellin (Colombia), alla Universitat de Barcellona e alla École Des Ponts et Chaussées di Parigi.
Potresti spiegarci in che consiste esattamente il tuo lavoro?
In poche parole: guido e accompagno le amministrazioni pubbliche verso una migliore collaborazione con la cittadinanza, le aziende e le università. Il fine è quello di perseguire il bene comune. Promuovendo processi di trasparenza e di partecipazione collettiva, implementando un’organizzazione condivisa, mi occupo in sostanza di semplificare il dialogo tra i diversi attori in gioco. Spesso questo ha a che fare con l’impiego di nuove tecnologie e con le strutture e i funzionamenti di quella che è chiamata “Smart City” ovvero “Città Intelligente”.
In merito ho condotto un’esaltante esperienza in Guatemala, dove ho lavorato alla redazione di un Piano Strategico per lo sviluppo della Città Intelligente di Guatemala. Da un lato mi sono riunito con i principali dipartimenti del governo locale prendendo contezza delle diverse problematiche da affrontare. Dall’altro ho coordinato un’ equipe di tecnici che ha definito le linee strategiche di azione per migliorare le aree critiche della città. Come consulente dell’ONU, in circostanze come questa, ho capito che i diversi rappresentanti del governo locale sono ansiosi di collaborare e avere voce in capitolo, perché evidentemente il loro dipartimento ha poco peso nel governo generale. Perciò in questo tipo di consulenze per prima cosa cerco di promuovere la collaborazione tra i dipartimenti e facilitare i processi di scambio di informazione all’interno delle istituzioni governative.
Sappiamo che la tua attività professionale si compone anche di una parte che potremmo definire imprenditoriale. Ci puoi raccontare qualcosa di più?
Essere consulente vuol dire consigliare e aiutare altre persone a prendere decisioni o accompagnare processi già in corso. E’ molto stimolante perché mi permette di avere influenza e migliorare le cose, tuttavia per me ci sono due aspetti che eticamente cerco di tenere sempre presenti. Il primo rilevante aspetto è che l’azione di “consigliare” non deve creare “dipendenza”: il consulente dovrebbe aiutare a promuovere processi che poi continuano a funzionare da soli. Un altro aspetto è il pericolo di diventare astratti e allontanarsi dalla realtá. In poche parole, si rischia di dedicare troppo tempo “a dire” e poco tempo “a fare”. E’ il “fare” che porta valore aggiunto alla consulenza. E’ per questo motivo che dedico tempo a lanciare in prima persona nuovi progetti. Per esempio, nella zona Est di Parigi abbiamo attivato un’area di Innovazione Creativa e Produttiva, chiamata “Volumes”. Comprende un Laboratorio di Fabbricazione Digitale, uno spazio di Coworking (dove liberi professionisti e piccole aziende condividono spazi di lavoro) e un Laboratorio di Cucina (uno spazio di partecipazione conviviale e di promozione della cultura agricola e della qualità gastronomica). Un altro progetto con simili implicazioni pratiche lo stiamo attivando a Valencia, qui in Spagna. La “Fabbrica Civica” vuole essere il punto di incontro e dialogo tra cittadinanza, imprese, amministrazione pubblica e università. L’idea è quella di attivare la collaborazione tra le persone indipendentemente dalla loro appartenenza ad organizzazioni pubbliche, private o civiche. Il fine è quello di promuovere dinamiche di sviluppo locale che abbiano impatti positivi sul territorio, ad esempio dal punto di vista economico, senza dimenticare la necessità di preoccuparsi del bene comune.
Mi sono dilungato un po’ nel tentativo di rendere più chiaro quello che faccio. Ci tengo a trasmettere che la mia attività professionale si confonde molto con le mie convinzioni ideali e con l’etica personale che deriva anche dalla mia educazione. In un certo senso, sempre con me, fuori dell’Italia, c’è sempre la mia famiglia e parte di Coreno.
Sei un viaggiatore che può già vantare un ricco carnet di esperienze lavorative nel mondo: come vedi posizionato il nostro paese Italia rispetto ad altri per quanto riguarda la partecipazione dei cittadini nella vita pubblica?
La prima cosa che mi viene di dire è: viva il Mediterraneo! L’Italia si trova nel centro di questa meravigliosa area geografica del mondo. Viviamola e sfruttiamola!
Siamo molto in ritardo. Ci sono davvero tante cose che dovremmo migliorare, però non voglio entrare nel solito meccanismo disfattista e di svilente della nostra realtà italiana.
Abbiamo bisogno di cambiare ed io sono ottimista. In Italia vedo il fiorire di tantissime piccole iniziative che stanno promuovendo un nuovo modo di coinvolgimento delle persone nelle trasformazioni del proprio territorio. La chiave della riuscita sta nella capacità di organizzarsi e collaborare, è ovvio. Semplicemente in Italia, come altrove, avevamo smesso di crederci.
Ho vissuto l’ondata di rinnovamento che sta vivendo la Spagna con il movimento degli indignados. Sono stato lì, in prima linea. Abbiamo abbandonato le bandiere e gli schemi di appartenenza e ci siamo rimessi a costruire collettivamente l’elemento base di ogni società: la fiducia nel prossimo. L’abbiamo fatto e continuiamo a farlo con tanti piccoli gesti. La maggior parte di essi sono invisibili ai più e non ne sentirete parlare nei telegiornali, eppure stanno cambiando a poco a poco la società spagnola. Anche in Italia mi sembra di vedere i primi passi di un simile risveglio.
Parliamo di “noi giovani”. Ci accusano di essere poco intraprendenti. Tu Sei stato prima a Parigi, poi Madrid, quindi Londra ed adesso sei a Valencia, perché non sei rimasto a lavorare in Italia?
Quando sono partito l’ho fatto con la voglia di esplorare e conoscere nuove realtà che mi avrebbero aiutato a crescere. Non avrei mai pensato di rimanere all’estero per un tempo così lungo. Nei primi anni da “emigrante” vedevo prevalentemente gli aspetti negativi dell’Italia. In seguito ho cominciato a riconoscere moltissimi elementi positivi dei quali prima nemmeno mi rendevo conto.
Oggi più che in passato abbiamo una maggiore facilità per muoverci e possiamo decidere dove vogliamo vivere. Non si tratta di trovare solo il luogo in cui sviluppare appieno le proprie capacità lavorative. Io penso che ciascuno debba cercare e stabilirsi in un luogo dove si sente bene con il resto della società.
Ho vissuto in diverse città: Roma, Parigi, Madrid, Lancaster, Manchester, Londra, Valencia. Si dice che ci si muove per amore o per lavoro. In effetti, più che per bisogno, io ogni volta mi sono trasferito per la ricerca di una nuova avventura professionale o per accompagnare la mia ragazza.
Madrid in particolare è stata una città molto importante per me. Lì mi sono sentito a casa da subito. Vi sono rimasto per ben 10 anni. La Spagna è il Paese che tuttora mi permette di poter continuare a scegliere con chi lavorare e a cosa lavorare.
Torneresti in Italia ?
Certamente! L’Italia è un paese ricco ed umano, pieno di vita e di colore.
Da un paio d’anni sto spendendo delle energie per la promozione di una rete di professionisti (si chiama CivicWise) che ho fondato con altri amici a Londra e che sta prendendo piede anche in Italia. In aprile sono stato ad incontro a Bari. Forse saranno proprio gli sviluppi di questa iniziativa che mi riporteranno a rientrare in Italia.
Cosa ti manca di Coreno e cosa ti porteresti dietro ? Cosa porteresti a Coreno ?
Di Coreno mi manca la famiglia, la tranquillità e l’eccellente qualità del cibo. Mi piacerebbe collegare Coreno con le realtà con le quali lavoro; Coreno ne riceverebbe un gran vantaggio ma Coreno potrebbe anche dare molto.
Colgo la splendida possibilità che mi dà “La Serra” per salutare i suoi lettori a Coreno Ausonio e nel resto del mondo. A chi è emigrato o si è trasferito, magari proprio per motivi di lavoro, direi: continuiamo a fare del nostro meglio, infondendo nel nostro agire, ovunque siamo, anche i valori storico-culturali del nostro territorio e della nostra piccola ma preziosa comunità di persone.