Architettura, Italia . Lo spettacolo è finito!

Mi chiamo Domenico Di Siena, architetto ed urbanista, vivo a Madrid da ormai 8 anni.

Domani le strade delle maggiori città spagnole ritorneranno a riempirsi di manifestanti in occasione dell’anniversario del 15M, il movimento degli indignados che nessuno si aspettava e che sta creando nuovi spazi di “democrazia”.
La Spagna è in pieno fermento, Madrid fra tutte.

Proprio a partire dall’esperienza madrilena voglio offrire il mio punto di vista su come sta cambiando la scena professionale nel mondo dell’architettura qui in Spagna e su come questo rinnovamento contrasti con le notizie che arrivano dall’Italia.

Gli eventi degli ultimi giorni stanno mettendo in evidenza un cambiamento importante.

Il primo dato significativo è che uno dei più prestigiosi premi europei (European Prize for Urban Public Space) dedicato allo Spazio Pubblico crei una categoria speciale per premiare un insolito progetto: l’accampata della Puerta del Sol che fu esattamente l’avvenimento che diede inizio, un anno fa, al movimento degli indignados.

È notevole che un premio di architettura venga concesso ad una “occupazione” popolare di spazio pubblico.

Bisogna poi sottolineare che il premio non è stato dato ad un architetto ma a tutti quei cittadini che transformarono la piazza in un esempio di cittadinanza e auto-organizzazione, durante un mese di accampamento.

Mi spiego meglio. Un gruppo di cittadini organizzati in una rete ha presentato un progetto di occupazione ed autogestione di uno spazio pubblico ad un concorso di architettura; in risposta la giuria ha creato una categoria speciale ed ha conferito loro il premio per miglior spazio pubblico dell’anno.

Nessuna gloria per gli architetti, davvero nessuna.
Dove andremo a finire? Si chiederanno alcuni.

Altro evento fondamentale è il premio che la fondazione Arquia ha assegnato al progetto Inteligencia Colectiva. Per spiegare di cosa si tratta dovrò usare alcune parole tabù per l’ establishment dell’architettura, espressioni come “Intelligenza Collettiva” e “Saggezza Popolare”.
Vogliate perdonarmi.

Inteligencia Colectiva (www.inteligenciascolectivas.org), è una iniziativa che nasce per dare visibilità a tutte quelle soluzioni costruttive che nascono dalla Saggezza Popolare a da processi appunto di Intelligenza Collettiva. I promotori dell’iniziativa spiegano: “le soluzioni costruttive senza pianificazione architettonica generano una enorme varietà di procedimenti sui quali esiste una saggezza popolare ereditata, corretta e combinata con un alto grado di improvvisazione in quanto a materiali e tecniche completamente nuovi”.

La giuria giustifica il premio in questa maniera:
“il premio ha voluto evidenziare i nuovi “ruoli” di molti giovani architetti che stanno sviluppando il proprio lavoro professionale ricercando nuovi formati, attraverso incarichi o auto-incarichi, nuove formule di collaborazione di gruppo o di collettivi, attivismo sociale e partecipazione pubblica, urbanistica di azione, nuovi mezzi di comunicazione applicati all’architettura, oltre ad una nuova sensibilità riguardante la costruzione.”

Potrete capire bene che qui in Spagna, in poche ore queste incredibili notizie rimbalzano tra tutti i principali Social Network e Blogs del mondo dell’architettura.
E c’è dell’altro.

Lo scorso fine settimana si è svolto presso il centro culturale Intermediae di Madrid, un incontro promosso dal gruppo VIC, con l’obiettivo di catalogare le iniziative di innovazione sociale applicate allo spazio pubblico che stanno avendo luogo in tutta la Spagna.
Partecipano sociologi, architetti, cittadini auto-organizzati, funzionari dell’amministrazione pubblica, artisti…

Si parla, si discute. La questione della composizione architettonica è lontana anni luce dalla realtà di oggi. Si lavora, si condivide. Si critica l’amministrazione pubblica in un centro gestito dall’amministrazione pubblica, mentre la città è piena di cartelloni che annunciano l’incontro.
A fine evento si festeggia. Si balla tutti insieme.

I partecipanti, venuti da tutta la Spagna (a proprie spese), tornano a casa con in tasca l’allegria e il piacere di aver conosciuto persone speciali che quotidianamente trasformano e migliorano le realtá urbane locali. Hanno condiviso esperienze, hanno creato nuove relazioni, nuove amicizie. Molti luoghi cambieranno grazie a questo incontro.
All’ interno di tutto questo nessuno spettacolo.

Tornando alla situazione italiana, sui social network si parla della Biennale di Venezia e del Maxxi di Roma. E’ apprezzabile vedere che siamo tutti d’accordo nel criticare e considerare vergognosa questa situazione. Sono tutti contro. E’ tutto uno schifo, si dice. La cosa sorprendente, di contro, è che tutto si riduce a criticare nomi ed incarichi. Si parla di mostre, si parla di contenuti inadeguati. Siamo davanti ad una completa cecità, un’ incapacità di immaginare qualcosa di veramente nuovo: un sistema orizzontale, un modello senza inutili orpelli. Si criticano improbabili burlesque e poi si ripete lo stesso schema dappertutto.

Per favore basta!

Potremmo vivere anche in Italia un cambiamento epocale, come sta avvenendo in Spagna e ci riduciamo a criticare dettagli e minuzie. C’è bisogno di un cambiamento radicale!
Basta con le vetrine e gli spettacoli. Cominciamo a creare processi di apprendimento orizzontali. Le universitá stanno morendo e le istituzioni crollano sotto vergognosi sperperi economici.

Dovremmo prendere spunto da realtà più attive e innovatrici come quella spagnola appunto, per cercare di mettere in moto processi di interazione, dialogo e condivisione tra le persone e tra le diverse discipline, di creazione di reti e collaborazioni, di appropriazione e riconversione di molti spazi il cui futuro risulta incerto a partire da realtà simili al museo Maxxi. Non abbiamo bisogno dell’ennesimo spazio espositivo, non necessitiamo una nuova collezione d’arte permanente o un museo dell’architettura del XXI secolo in un paese dove non si produce nessun tipo di architettura da decenni; questa è la vetrina all’italiana.

Sarebbe auspicabile invece, oltre che più costruttivo e sostenibile “occupare” nuovi luoghi in cui sperimentare sistemi di apprendimento e condivisione di conoscenze ed esperienze che siano collettivi e partecipativi al fine di sensibilizzare le persone, partendo dal basso, dalle comunità.

Ricominciamo ad incontrarci, ricominciamo a dialogare. Che le istituzioni diventino “estituzioni” un termine di cui si comincia a parlare qui in Spagna.
Il concetto di “estituzione” è affascinante perché descrive un tipo di entità (pubblica) che non delimita uno spazio e che ha come obiettivo di base l’inclusività e la trasformazione.

Ritroviamoci. Abbandoniamo il passato e lasciamo perdere il futuro.
Riprendiamoci il presente. Smettiamo di seguire queste menti giurassiche!

Il nostro obiettivo non è la ricerca di soldi, di visibilità o di prestigio, ma semplicemente di Nuovi Spazi in cui il nostro protagonismo possa maturare partendo dal dialogo e dallo scambio; vogliamo uscire da questo sterile gioco del varietà; non perderemo più nemmeno un minuto per combatterlo. Lo ignoriamo! Lo consideriamo un inutile intrattenimento per vecchie menti assuefatte dal torpore del clientelismo!

Lo spettacolo è finito.

Testo di Domenico Di Siena (@urbanohumano) con la collaborazione di Ylenia Arca. Foto di Ylenia Arca (http://yleniarca.carbonmade.com/)

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  1. francesco says:

    Sono d’accordo col tono indignato dell’articolo.
    Un po’ meno su questa immagine della Spagna come un paese dove le cose vanno bene, mentre in Italia fa tutto schifo.

    Precisamente in questi giorni l’esempio di MACAO ci indica che anche l’Italia si sta muovendo.
    http://immaginoteca.com/macao

    Ne parlero’ oggi nella conferenza INPUT2012 che si tiene a Cagliari, citando anche l’analisi che proponi in questo articolo.

    1. domenico says:

      La mia non vuole essere una serenata alla situazione Spagnola, ma una riflessione su come stia rafforzandosi qui in Spagna, un modello di «azione» professionale che promuove un dibattito molto più orizzontale ed effettivo.
      Esiste qui in Spagna un protagonismo giovanile che non ritrovo in Italia, dovuto probabilmente ad un contesto basato sulla connessione e lo scambio.
      La opulenza ormai lontana, degli ultimi anni ha permesso ad una nuova generazione di professionisti di occupare la prima linea di produzione. Questo ringiovanimento ci permette oggi di poter contare su un contesto molto più «contemporaneo». Un mondo professionale giovane, che ritrova nella «società in rete» di cui parla Castells, un modello da seguire.
      In Italia c’è ancora una inutile necessità di ricercare la facciata. Come persone proiettiamo la nostra identità troppo in avanti, ci prendiamo troppo sul serio e tendiamo a darci più importanza di quella che abbiamo o ci meritiamo. Questo riduce e ostacola tutti i processi basati sullo scambio orizzontale.
      Il caso di Macao mi sembra uno spiraglio di luce, anche se vedo il pericolo che si proponga ancora una volto un modello basato nello spettacolo.
      L’elemento molto molto positivo è la riappropriazione di uno spazio come spazio collettivo. Sará molto molto importante per coloro che lo useranno sperimentare processi di autogestione. Mi sembra interessante per il momento che non si intenda come uno spazio di «lotta politica», ma uno spazio di «innovazione politica».

  2. Maria says:

    «Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie […] Noi canteremo le maree multicolori o polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne» F.T. Mariinetti, 1919, Manifesto del Futurismo

  3. Caro Domenico, è un un post molto interessante il tuo che mi conforta nel vedere che certe dinamiche (che esistono anche in Italia, ma in modo più sotterraneo), sono comuni ai paesi massacrati da crisi economica e politica.
    In Italia già esistono forme orizzontali di aggregazione e sviluppo della conoscenza. Per il Padiglione di Venezia Luca Diffuse ed un altro centinaio di intellettuali hanno lavorato su una proposta di gestione collettiva del Padiglione Italia, trasformandolo in un centro di «ascolto» ed elaborazione delle tematiche che venivano dall’esterno (http://www.amatelarchitettura.com/2012/04/biennale-2012-il-padiglione-fatto-di-materia-grigia/).
    l’8/2/2012 a Roma (sotto la neve!), ho organizzato con il mio gruppo di Amate l’Architettura un’assemblea sul modello del bar-camp dove sono venuti architetti (e non solo) da tutte le parti d’Italia a parlare dei problemi e delle soluzioni dell’architettura divisi in 5 macroaree tematiche, con il supporto di una piattaforma telematica per tutti gli interventi e i documenti prodotti per l’occasione (http://thinktag.it/it/groups/rete-150k) e di una ripresa in streaming (qui puoi vedere la registrazione dello streaming: http://www.livestream.com/rete150k?t=159009), a suo tempo questo evento lo abbiamo chiamato 150K (il numero di architetti presenti in Italia. Ora stiamo partendo con una fase 2, strutturando sotto forma di rete «open source» ed orizzontale (di estensione nazionale) quell’evento sporadico, e lavoreremo su temi definiti che la rete stessa individuerà come più significativi.
    Oltre al nostro campo ristretto si è formata una rete dei professionisti (in cui ci siamo anche noi) che è stata denominata «il Quinto Stato» (http://www.amatelarchitettura.com/2012/04/amate-larchitettura-aderisce-allappello-del-quinto-stato-contro-il-ddl-fornero-per-una-nuova-idea-di-lavoro-e-welfare/).
    Come vedi, in maniera più sotterranea (perché noi siamo più sudditi e meno cittadini degli spagnoli) le cose si stanno muovendo anche in Italia. Non disperare!

    1. domenico says:

      Ciao Giulio,
      che bello conoscere queste nuove realtà di cui mi parli. Mi fa veramente molto piacere.
      Partendo dal fatto che apprezzo molto queste vostre iniziative, mi permetto di evidenziare alcuni fattori e caratteristiche che vedo si ripetono frequentemente in Italia.
      Vedo che ricorre la necessità di creare gruppi, campagne, «marche» in un certo senso «identità collettive» che si mostrano alternative a quelle vigenti.
      Ecco!!
      Secondo me il problema è proprio lí!!
      Io non mi sentirei mai parte del progetto «quinto stato». Mai. Secondo me è importante creare reti, non nuovi gruppi. Siamo tutti diversi, con mille modi di vedere il mondo e la realtá. Non credo più nei gruppi, ma molto di piú nelle persone e nella loro capacità di auto-organizzarsi in rete.
      Il discorso più siamo e meglio è, oppure più siamo più forti siamo non mi piace più.
      Più connessi siamo e più capacità di trasformazione abbiamo!!
      Credo sempre di più nelle persone e meno nelle «organizzazioni».
      Organiziamoci in rete come cittadini, non come gruppi, partiti, sindacati ecc…

      1. Domenico, siamo perfettamente allineati nel pensiero, se stiamo mettendo ij piedi questa rete è per i motivi che tu hai addotto (e stiamo trovando altre persone con le stesse convinzioni). Se ti fa piacere ti inserisco nella mailing list della Rete150K. Anche se vivi in Spagna (o soprattutto) perché vivi in Spagna, il tuo apporto, anche se limitato per ragioni logistiche, può essere, credo, molto importante.
        L’indirizzo di posta elettronica di 150K è: rete150k@gmail.com
        Se lo ritieni opportuno invia i tuoi riferimenti. Buon lavoro.
        GPC

  4. Paolo says:

    Domenico
    sono felice per te che vivi via dall’Italia da un pò di tempo.
    Stiamo arrivando anche noi. (vedi MACAO).
    Saluti
    Paolo

  5. domenico says:

    Ciao Giulio, sarò ben felice di essere nella mailing list della rete 150K. Vi scrivo e vi invio i miei dati. Buon lavoro anche a te!!

  6. Maddalena S. says:

    Ciao Domenico,
    ho 23 anni e studio architettura.
    Non mi dilungo ma le tue parole mi hanno emozionato molto.
    Il 15 maggio, per motivi del tutto altri ero a porta del Sol, e poi ci sono rimasta.
    Quello che si è provato stando li è indescrivibile, un’elettricità molto forte e rassicurante, coesione fisica e di idee che la spagna vive e ha vissuto in quei momenti. L’ho trovato molto commuovente perchè la parola collettività che per noi architetti italiani non hanno molto senso concreto, prendevano una forma vera tangibile, era una massa viva e forte e si è detto BASTA ! DIAMOCI UNA SVEGLIATA! e l’hanno detto tutti insieme. Quei momenti di penetrano fino all’ultima cellula del corpo.
    Le tue parole mi riportano a quel momento e a quell’emozione viva e forte, ma con un po di amarezza . Anche la storia di MACAO si è rivelata esattamente quello che hai scritto, una delusione, una vetrina per far dello spettacolo anche li.
    In italia il bene comune è un concetto ancora veramente lontano e non definito.
    Bon, come dicevo non mi dilungo.
    Grazie

  7. Damiano says:

    ciao,
    l’analisi è totalmente condivisibile. In realtà, come poi precisato in un commento non è tranto l’azione/riflessione architettonica ma la creazione di reti a fare la differenza.

    Su questo punto, in realtà, l’Italia nutre da sempre una scena sotterranea molto vivace al contrario di quanto spesso si pensa. Non necessariamente di architettura, ma di quasi ogni ambito culturale di margine e di ricerca: dall’arte di strada, alle iniziative socio-inclusive, alla musica…

    Quale è il problema allora?
    Banalmente il fatto che se da un lato queste iniziative nascono inevitabilmente come germinazione spontanea, è vero però che in altre parti del mondo vi è una sensibilità istituzionale che porta talvolta a supportarle (in Germania e in Francia esistono spesso spazi e finanziamenti a fondo perduto per progetti di studenti, artisti e drop out) e talvolta semplicemente a «sopportarle» senza ostilità…

    Ecco, l’ostilità delle strutture istituzionali italiane è il cuore del problema.

    Pasolini scriveva che il potere è fondamentalmente anarchico, cioè fa quello che gli pare. Nei paesi civili, questa anarchia del potere è contenuta da costituzioni e contropoteri ma soprattutto da una cittadinanza attiva che va a riempire i vuoti socio-culturali autonomamente.

    In Italia, un mix di selezione perversa delle classi dirigenti, cultura universitaria feudale e «vecchia», una pericolosa deriva di l’intolleranza verso la diversità e un concetto di sicurezza sempre più autoritario negli ultimi 25 anni, hanno portato ad una situazione in cui le sperimentazioni culturali, sociali, civiche sono viste come qualcosa di legittimo solamente se sono «autorizzate e sponsorizzate» dalle istituzioni.

    Tutto il resto sono «roba da centri sociali» anarcoide e, ricordiamoci degli arresti PREVENTIVI» in occasione di parecchie manifestazioni degli ultimi anni, pericolose!

    Dunque, ogni sforzo di creare reti crea comunità. E’ democrazia attiva. Ma il mio invito è a tenere lo sguardo «alto» sulla società. In un momento di sfaldamento come questo è fondamentale che i cittadini, soprattutto i più fertili e creativi, tornino a fare politica. A occuparsi della polis…

    Se ci pensate bene, è il senso stesso di ciò che sta succedendo in Spagna. La gente ha cominciato a occuparsi della «cosa pubblica».
    Siete architetti ed artisti, benissimo. Fate architettura, ma pensatela nel senso più politico possibile. E sto pensando a Pericle, non a Bersani.

    Un saluto affettuoso
    Damiano